Michele Ciacciofera presenta al Museo Marino Marini di Firenze la mostra The library of encoded time.
The library of encoded time è l’installazione principale allestita nel museo e si compone di una serie di vecchi mattoni provenienti dalla distruzione di architetture del passato, che si ricompongono in forma di codici per giungere a una rilettura della storia attraverso la simulazione di diversi alfabeti, paradigmatici della costruzione dell’edificio della cultura attraverso la trasmissione della conoscenza.
I mattoni in terracotta, oggetti arcaici che rappresentano l’origine, purificati e riutilizzati in un fecondo processo creativo, costituiscono simbolicamente dei contenitori di memorie legati al processo di stratificazione che lega il passato e il presente. L’installazione, in precedenza esposta a Parigi, a Marrakech e a Guangzhou, è stata ricreata in una nuova versione per il Museo Marino Marini, partendo dai mattoni rivenuti in situ durante la ristrutturazione del chiostro adiacente alla ex chiesa di San Pancrazio, attuale sede del museo. Il processo di scrittura e smaltatura è avvenuto in loco, in Toscana.
I mattoni vengono cotti una prima volta per eliminare la calce, come in un rituale di purificazione, anche concettuale, preparandoli a nuova vita. Quindi l’artista adotta un processo di scrittura quasi automatica che, da un lato, si caratterizza per una parte rituale e, dall’altro, per l’aspetto psicologico, così che l’oggetto mattone-libro tende a caratterizzarsi per l’accumulazione e l’intersezione di linee e segni che rappresentano lo stato di sofferenza e di saturazione della memoria, come in un cortocircuito temporale dentro il quale scorrono presente e futuro in una sorta di magma indifferenziato. In seguito, il mattone viene cotto una seconda volta in modo che gli smalti e i colori usati si vetrifichino e si fissino in modo indelebile sulla superficie, così da far presagire il riutilizzo del mattone per una futura costruzione, una biblioteca, basata sui segni che rappresentano la memoria in un percorso di ricostruzione concettuale.
Attraverso un nuovo dispositivo progettato dall’artista, costituito da mensole metalliche, le tavolette vengono presentate come veri e propri libri che interrogano il tempo.
Completa la mostra l’installazione The inner State, composta da venti sculture verticali, totem stalagmitici in legno e materiali compositi caratterizzati da un’ambiguità formale che compenetra forme organiche e inorganiche, umane e animali, minerali e vegetali, rimandando a una sorta di teriomorfismo poliedrico. La disposizione delle opere nello spazio rievoca una foresta arcaica in cui gli alberi sembrano scorrere come in una processione o rito sciamanico. La pratica di collezionare e riunire frammenti, oggetti trovati, antichi quanto attuali, fa parte integrante del processo creativo volto a dare nuova vita a questi materiali che si trasformano così in feticci conservando tuttavia la loro carica simbolica originaria. Il reimpiego di ammoniti fossili del Paleocene o la riproduzione di trilobiti sulla superficie delle sculture non ha qui funzione puramente ornamentale, ma costituisce l’ultima tappa di un processo di stratificazione mentale e materiale preceduto da una complesso procedimento che vede sovrapporsi materiali pittorici, patine, gomme lacche, foglie vegetali, frammenti di carta, ecc., unitamente a una serie di segni e di simboli geometrici, o ancora emoticon, disegnati o dipinti con colori naturali o fluorescenti, che indicano la complessa temporalità delle opere. Presi nel loro insieme, questi oggetti sono sottoposti a un processo di arricchimento per accumulazione che completa la definizione archeologica dell’opera, costituendo una incarnazione plastica di un bisogno primordiale dell’uomo, quello della creazione di segni. L’installazione è accompagnata da un’opera sonora in cui rumori urbani e naturali, elaborati elettronicamente e ritmati, si sovrappongono per creare una sonorità che rappresenta l’anima vitale delle sculture stesse, che gradualmente diminuisce fino all’estinzione.
Biografia dell’artista
Michele Ciacciofera, nato nel 1969 a Nuoro, ha vissuto a Palermo e da dieci anni risiede a Parigi. Partendo da un approccio sociologico e antropologico, esplora differenti tematiche legate al contesto del Mediterraneo nelle sue connessioni e confronti con un orizzonte universale. Le sue opere, che coniugano memoria collettiva e rivisitazione dei miti antichi e contemporanei con l’attuale realtà politica, sono marcate da una sensibilità alla materia e da una acuta coscienza delle criticità del mondo contemporaneo legate alla riconfigurazione degli equilibri socio-economici, geopolitici e culturali del mondo attuale.
Da settembre 2018, ha esposto alle fiere di Shangai, Pechino, Marsiglia, Bogotá, Parigi, Dubai, Londra, Madrid, Bruxelles; in collettive a New York (in un confronto con Louise Bourgeois), a Berlino, nei Grigioni, in Svizzera, e al Petit Palais di Parigi per Fiac Project 2019; in personali a Londra (Senesi Contemporanea), a Guangzhou in Cina (con Vitamin Creative Space), a Marrakech (Voice Gallery), e a Parigi, alla galleria Michel Rein. Nel 2017 ha partecipato alla Biennale di Venezia e a Documenta XIV di Kassel e Atene.
“Michele Ciacciofera – spiega il curatore Angelo Crespi – è uno degli artisti più interessanti sulla scena internazionale, muovendosi in quel vasto spazio dell’arte contemporanea tra pittura, scultura, installazione. Negli ultimi due anni ha esposto in Europa, America, Cina e Africa, in alcune prestigiose istituzioni museali, gallerie e fiere, presentando gli esiti della sua più recente ricerca che muove soprattutto dagli studi di sociologia e antropologia e si esemplifica plasticamente in una serie di installazioni di grande potenza evocativa e poetica, e di immenso fascino visivo.
The Library of encoded time sublima nel duro resistere della materia – l’argilla e gli smalti – l’essenza del pensiero, per sua natura destinato a svaporare nel tempo, ma che l’uomo si inventò di trasmettere attraverso la scrittura. Proprio questa trasmissione “codificata” apre l’infinita narrazione della civiltà, quel labirinto quasi borgesiano, fatto di storie e contro storie in cui si perde e si ritrova il genere umano”.