A cura di Dimitri Ozerkov
Irina Drozd “Il codice del silenzio”
Di solito i gruppi più fragile della società sono i più indicibili. Dovremmo sollevare il problema o cercare di renderlo invisibile? La domanda che Irina Drozd solleva con il suo progetto è davvero lieve – questa è la questione della violenza e delle molestie sessuali nelle abbazie e nelle chiese. Dovremmo parlare di questo? Le vittime che hanno promesso di servire il Dio dovrebbero andare contro l’istituto religioso che rende possibile tale violenza? La società dovrebbe addirittura essere coinvolta? Il progetto «Il codice del silenzio» solleva tutte queste domande che sono ancora molto importanti al giorno d’oggi, anche se esistono da secoli. Il problema di cui parla Irina Drozd è stato accettato dal Vaticano solo nel febbraio 2019 ed una soluzione non è stata ancora trovata. Il tema proposto dall’artista entra in dialogo con le sculture di Marino Marini, che mostra anche figure femminili piene di fragilità, fede e forza. Dato questo spunto storico Irina Drozd combina il progetto con la storia dell’edificio che ospita la Fondazione Marino Marini – un’antica chiesa che ora trasformata nel museo dedicata all’artista moderno.
Tutto ciò mostra come la storia stia entrando nella contemporaneità e nel futuro, e come combinando queste immagini temporali possiamo ottenere un simbolo davvero complicato.
Il progetto consiste in tre lavori grafici su tele che pendono come dei vestiti stesi ad asciugare – su delle corde, con delle mollette. Da questo troviamo una mescolanza di materiali: la tela somiglia al tessuto, pur essendo ancora diversa. È un approccio molto lieve alle strategie artistiche legate all’arte femminista – dare un suggerimento, ma senza darlo in modo diretto. Le figure femminili delle opere somigliano un po’ a dei fantasmi che siedono attorno alla scultura di Marino Marini, molto più solida e visibile. Questa è la storia del tempo che passa, passato e presente, dello sprint del luogo e delle domande sollevate, che esistono tanto nel passato quanto ora che continueranno ad essere senza risposta, a meno che non se ne parli e venga rotto il codice del silenzio.
Irina Drozd (1983, Rzhev), si è diplomata all’Accademia di arte e design di San Pietroburgo, facoltà di pittura monumentale e decorativa. Le sue mostre personali si sono tenute presso la UVG Gallery, Budapest (2017) e la Erarta Gallery, Zurich, Svizzera (2013). Irina ha partecipato alla Biennale d’Arte Contemporanea di Mosca (2017), alla 5a Biennale di Mosca delle arti contemporanee (2013) e alla 14a Biennale di Giovani Artisti dell’Europa e del Mediterraneo, Macedonia (2009). Irina Drozd ha ricevuto la nomination al Premio Kuryokhin e all’Innovation Award. Le sue opere sono esposte al Moscow Museum of Modern Art, al National Center for Contemporary Art (Mosca, Krasnoyarsk), nonché presso collezioni private e pubbliche in Germania, in Italia (Museo d’Arte Moderna, Roma), in Russia e negli Stati Uniti (collezione Lenny Kravitz).
Andrey Kuzkin “Al confine dei dubbi”
Per comprendere le mie opere e, forse, le opere di altri artisti dell’Europa dell’Est, è importante prendere in considerazione questa modalità di pensiero: abbiamo sempre il senso di avvicinarci alla catastrofe dentro di noi. È come una bomba atomica, costantemente appesa a una corda sottile sopra le nostre teste. Questa sensazione rende insensata qualsiasi attività… Per quale ragione dovrei fare qualcosa se è solo per qualche tempo… Una catastrofe può essere personale – morte, o pubblica – un sistema totalitario che schiaccia milioni di vite, guerra, non ha importanza … Abbiamo optato per vivere con questo sentimento…Non abbiamo fiducia in nulla, solo dubbi…
Sono solo e nudo, affronto il mondo e non lo capisco. Forse voglio sparire o essere altrove ma non nel luogo in cui sono. Amo la natura. Probabilmente mi piacerebbe diventare una pianta, un albero, ma questo desiderio è assurdo … Mi guardo allo specchio – ho solo i miei sentimenti. Ho la mia morte, che mi rende uguale ai miliardi di altre persone che sono venute prima di me. Anche loro sentivano qualcosa e anche loro pensavano a qualcosa. Penso alla morte. Mi piace pensare alla morte… Mi sento tranquillo nei cimiteri. Non mi piace l’eccessiva sicurezza dei cimiteri europei. Non sono riuscito ad arrivare al cimitero di Firenze, ma una volta ero a quello di Parigi – sembra una città, dove le cripte di famiglia sono come case, le passerelle sono come strade – tutto è bello. I nostri cimiteri russi sono incerti come tutta la nostra vita, sono storti, inclinati, casuali … per me è più chiaro. Sono cresciuto in questa realtà.
Ho studiato grafica (tra cui disegno, pittura e composizione) per 5 anni, ed ora uso alcune di queste abilità nei miei lavori. L’unica differenza è che compio da solo il lavoro di “design”, per assolvere ai miei compiti. Uso il mio corpo nelle esibizioni, poiché il mio corpo è ciò che sono ora…
Uso il pane per creare sculture (figure umane), perché il pane per me è un simbolo del corpo umano. Prima di tutto è collegato al simbolo cristiano del pane (il pane è il simbolo del corpo di Cristo), e con l’affermazione “il corpo è la prigione dell’anima”, e, in secondo luogo, si riferisce alla tradizione carceraria russa di scolpire dal pane (i prigionieri in Russia usano il pane per creare oggetti che sono loro proibiti – dadi, perle, carte da gioco, ecc. – perché non hanno accesso ad altri materiali.) Anche il pane in Russia è un simbolo del cibo , che alimenta e forma il corpo …
È un materiale fragile che richiede di essere maneggiato, cosi come il corpo reale…
Una serie di disegni delle sculture di Marino Marini, che ho realizzato in museo, è una sorta di tributo a questo eccellente scultore, ed è anche un omaggio al museo e alla cultura e un tributo alla mia educazione… Dovevano essere appesi accanto alle sculture da loro raffigurate, come se fossero una sorta di “specchio”. Sfortunatamente ciò non è stato possibile, e sono esposti come lavori in corso, il marchio del mio essere qui…
Cerco di esprimere i miei sentimenti, le mie emozioni, attraverso i miei lavori… Sono sempre molto personali… Sono spesso dispersi. Contraddittori. E spero che la mia esperienza possa coincidere con l’esperienza di qualcuno del pubblico, così che entrambi ci sentiremo un po’ meno soli in questo mondo. E questo pensiero rende tutto migliore…
Mentre mi avviavo a lavorare al Museo Marino Marini, non avevo un piano chiaro. Non sapevo esattamente cosa avrei fatto qui. È stata un’esperienza live. Le idee di lavoro sono nate gradualmente. Tutti i lavori, ad eccezione della documentazione video della performance “Tutto ciò che è – tutto mio”, sono stati creati qui nel Museo. Ho provato a connettere i lavori creati con tecniche diverse in un’ unica installazione generale o in una storia complessiva, di cui sono protagonista…
Andrey Kuzkin (1979, Mosca) si è laureato nel 2001 al dipartimento di Arti Grafiche dell’Università di Mosca delle Arti della Stampa. Ha iniziato a partecipare ad esposizioni nel 2006, sviluppando il suo particolare stile di arte performativa. Ha attirato l’attenzione di critici e curatori nel 2008 nel campo d’arte “Veretevo” durante la Biennale Giovanile “Stop! Chi va là?”. Ha mostrato diversi importanti lavori, tra cui l’installazione “Circle-wise”, che è ricordata come sensazionale. Per diverse ore Kuzkin camminò in cerchio in una pozza di cemento liquido, legato a un bastone al centro. La performance è durata fino a quando l’artista non ha più potuto impastare il cemento che ha iniziato a solidificarsi.
Lo stesso Kuzkin ha descritto la performance come un atto di solidarietà con le persone, costrette a portare sulle loro spalle la durezza della vita quotidiana così insopportabilmente difficile nel suo paese.
Ivan Plusch “Nove cerchi di vita”
Il progetto di Ivan Plusch «Nove cerchi di vita» è un parallelo alla «Divina Commedia» di Dante, che non parla della vita dopo la morte ma di ciò che possiamo sperimentare durante la nostra esistenza. Il tappeto si trasforma, si alza e si abbassa, crea fiocchi e riparte dal nulla e finisce da nessuna parte come la nostra vita o esistenza in questo mondo. Questo simbolo può essere letto in modo diverso: come la vita dell’individuo (specialmente artistico, come Marino Marini) o come l’intera storia che passa o come la storia dell’arte, dove l’arte contemporanea è connessa con le generazioni precedenti. È come una linea di demarcazione del mondo parallelo che appare improvvisamente nel museo e cambia la nostra visione dell’architettura o dell’opera di Marino Marini.
Sono visibili anche delle palline rosse posizionate su diversi piani, in modo caotico, e che possano cambiare i punti di riferimento all’interno del museo. Questo è uno dei simboli principali di Ivan Plusch, e che usa nei suoi dipinti. È il simbolo dell’infanzia, molto importante per l’artista in quanto base per la nostra ulteriore esistenza e simbolo del nostro codice genetico, che cosi come è stato sparpagliato nel museo potrebbe essere nuovamente ricombinato.
Lungo il tappeto rosso è possibile imbattersi in tre tele di Ivan Plusch, realizzate in dialogo con Marino Marini e che ne ripropongono i dipinti di Marino Marini, ma nel suo stile. Questo dialogo diretto con l’artista mostra la connessione dell’arte e degli artisti durante tutto il percorso di sviluppo e cambiamento l’arte. I dipinti sono realizzati secondo lo stile di Ivan Plusch e mostrano la tematica principale di sé stesso come artista: l’incapacità di rimanere in questo mondo per sempre. Questo processo di passaggio e sparizione si ripete nella sua installazione fatta con il tappeto rosso.
Ivan Plusch (1981, Leningrado), si è laureato presso l’Accademia d’arte e industria di San Pietroburgo. Le sue mostre personali si sono tenute nella RX Gallery, Parigi (2017), e nella Deborah Colton Gallery, Houston (2016). Ha partecipato a Glasstress Gotika, evento collaterale della 56a Biennale di Venezia (2015), alla Biennale d’arte contemporanea di Mosca (2014), alla Triennale di Milano, al Kunst im Rohnerhaus (Austria), a Lutero e all’Avanguardia (Wittenberg). Le sue opere sono esposte presso il Museo Ermitage e nel Museo Russo di San Pietroburgo, nel Museo di Arte Moderna di Mosca e in diverse collezioni private. Realizza dipinti e installazioni che illustrano la fluidità e il trascorrere del tempo.